La pedofilia nell’immaginario contemporaneo
Alcune considerazioni
di Laura Porta
In questo articolo* propongo alcune riflessioni sulla pedofilia non come perversione del singolo ma come discorso collettivo. Essa ci viene offerta, con una matrice sottile e discreta, a livello sociale e culturale sotto forma di mode e di stili di vita, riguarda sia le giovanissime che le donne mature, bersagli di una suggestione che esalta l’infanzia e l’adolescenza come oggetti privilegiati dell’attrazione erotica.
Una strana iniziazione impone oggi alle giovanissime il modello della prostituta come standard estetico per l’appartenenza al gruppo delle coetanee. Le incontriamo, di notte, 14-20enni, nelle piazze che brulicano di bar, gelaterie e locali.
Non si può fare a meno di notare il look delle ragazzine e delle ragazze, nel sanissimo anelito di “appartenere” ad un gruppo, ad un’identità collettiva: shorts sgambatissimi, collant appositamente strappati stile “stupro”, minigonne senza calze anche a gennaio con giaccone a filo della minigonna effetto “nuda sotto”, scarpe con tacco 12 cm che paiono supporti ortopedici medievali e che le fanno incedere a passo incerto come creature infortunate, trucco esageratamente sapiente, risultato di ore di e-learning… sembrerebbero ragazzine “mascherate” da prostitute.
È la generazione femminile che dieci anni fa aveva cinque, sei anni, e giocava con le Bratz; Barbie “deformate”, con testone e labbrone truccatissime, enormi scarpe tacco 12 cm su gambe vertiginosamente lunghe e sottili, che hanno introdotto una certa “educazione corporea alla dispercezione”, fortemente orientata al modello estetico femminile degradato.
Come afferma Annie Leclerc (cfr. Delle Paedophilia e altri sentimenti, Malcor D’ Edizioni, Catania 2015), non mancano, e non mancheranno mai, i cosiddetti “sacerdoti” della pedofilia, intellettuali che ammiccano ad un presunto diritto del bambino e dell’adolescente al piacere sessuale. Peccato che, se questo piacere sessuale proviene dall’irruzione asimmetrica e autoritaria di un adulto, o da un discorso sociale e collettivo, ecco che la scena si oscura e il piacere della scoperta si trasforma, all’opposto, in un ritorno regressivo e soffocato dell’infanzia. Si pensi alla diffusione capillare che negli Stati Uniti ha avuto il movimento culturale virtuale NAMBLA (rendere linkabile a http://www.etnografiadigitale.it/2013/07/nambla-pedofilia-etnografia-digitale/) acronimo di North American Man/Boy Love Association, un’associazione virtuale che proclama i diritti dei pedofili, negando l’evidenza psicopatologica della pedofilia.
Esistono studi sociologici approfonditi su come la ‘demonizzazione’ dei mostri come protagonisti delle prime pagine della cronaca nera sia, a livello sociologico, uno strumento non di prevenzione, ma di incentivazione dei comportamenti di abuso. Un modo per dire che, scindere, separare, rigettare al di fuori, non riconoscere la propria componente potenzialmente perversa-psicopatologica potrebbe, in alcuni casi, rendere i soggetti più vulnerabili e potenzialmente predisposti alla ripetizione, all’agito e al mancato riconoscimento del proprio comportamento perverso e abusante.[1]
Se i pedofili restano argomento da cronaca nera, la pedofilia diffusa e sottile, che lascia intravvedere un programma sociale che spinge le giovanissime verso una sessualizzazione adulta forzata, è un discorso scomodo, rimosso che, gettato fuori dalla porta, rientrerà puntualmente dalla finestra.
Proviamo ad esplorare l’altro lato della medaglia, gli adulti. Che dire, per esempio, di un’atmosfera socio-culturale non ancora sufficientemente messa a fuoco, e che incentiva la diffusione di un ‘immaginario pedofilo’? A partire dagli anni ’80 e ’90 si è diffusa epidemicamente l’immagine delle ‘modelle bambine’, il cui broncio espressivo, risultante quasi organica del regime dietetico anoressico imposto dalla regia della moda, rimanda ad una mortificazione normativa e misurabile: la taglia 36 o al massimo 38. Taglie da ragazzine di dieci, dodici anni.E infine, non possiamo fare a meno di notare, da un decennio a questa parte, quell’imperativo estetico strisciante che prescrive il ricorso alla depilazione integrale del pube. E’ un fenomeno a filiera, che va dalle grandi fabbriche dell’immagine al passa parola tra adolescenti e che rende “condotta sociale” una precisa rappresentazione della propria intimità corporea e genitale: implume. Proprio come se…si fosse ancora bambine. Ecco dunque la collusione del sociale contemporaneo con la dimensione pedofila: collusione che aggancia le ragazzine e le donne più giovani ma che non manca di fare moltissime seguaci tra donne mature se non addirittura attempate. Come se la genitalità femminile – e ultimamente anche quella maschile – dovesse restare vincolata all’infanzia per essere appetibile.
Una certa estetica occidentale ha sempre identificato i peli irsuti con la villania e le superfici depilate, delle ascelle per esempio, con lo status socio-culturale-economico della raffinatezza femminile, oggetto dell’approvazione e del desiderio erotico. Ma non si era mai giunti all’esaltazione estetica di una genitalità implume, immagine che rimanda, ovviamente, al corpo dell’infanzia. Un tale imperativo regressivo, del resto, sembra trovare oggi nella chirurgia estetica un solerte e sempre più efficiente alleato: aumentano esponenzialmente i “bisogni” femminili di intervenire chirurgicamente per la riduzione estetica delle piccole e delle grandi labbra (labioplastica), per tornare a far somigliare i genitali femminili a quelli di bambine: guai somigliare a delle vere donne!
Sono semplici fenomeni di costume? Certo, ma come non porci la questione, senza esitare in facili perbenismi o all’opposto in scontati discorsi liberisti, della responsabilità sociale collettiva e mediatica nell’aver creato, fatto assimilare e assecondato certi modelli di rappresentazione dell’immaginario erotico? Il fenomeno è inquietante nella misura in cui implica una dissociazione fra ciò a cui esso rimanda (una seduttività basata sul modello della corporeità infantile) e l’effettiva identità di chi la persegue, adolescenti legittimamente preoccupate di “appartenere” ad un gruppo, ad un’identità collettiva. Donne o uomini “moderni” animati dall’intenzione di essere nel discorso sociale e culturale, partecipando alla dialettica del desiderio con l’altro sesso senza discostarsi dagli usi e costumi del proprio tempo.
L’interrogativo parte non dalla scelta di adeguarsi o meno alle mode, ma dal fatto che certe mode non vengano interrogate. Se è vero che, come emerso dalle più raffinate indagini psicoanalitiche, essere l’oggetto del godimento di un uomo può essere un modo particolare tra i tanti che una donna può scegliere per vivere la sua sessualità, che dire di un regime di godimento imposto, fin dall’infanzia, a livello subliminale, che non ha niente a che vedere con una fantasia sessuale, ma rientra piuttosto in un prototipo socialmente condiviso, ma non elaborato e non pensato? Se le donne mature si mascherano da “bambine” e le adolescenti si mascherano da prostitute, dove sono i pedofili, mascherati, nel nostro immaginario collettivo e nel nostro discorso sociale? I bambini, e le bambine, finiscono con l’emulare gli adulti e gli adulti hanno a disposizione un immaginario in cui è la donna ad essere ancora oggetto sessualizzato. Di qui il fenomeno della sessualizzazione precoce delle ragazzine. Questa constatazione non giustifica, a mio avviso, l’indicazione che sia necessario irrigidirsi nella censura, trattenere i figli a casa, mortificare il loro bisogno di essere in piazza e di esserci con i loro ‘segnali’ seduttivi condivisi. Bisogna però aprire gli occhi, testimoniare una ‘resistenza’ lucida, dire, dare fiducia, autorizzare ed evocare un pensiero critico.
In un film molto interessante del 2013, “Giovane e bella” di F. Ozon, la protagonista, un’adolescente di buona famiglia, si prostituisce senza sapere il perché, senza averne la necessità per denaro. Non si tratta, qui, dell’elaborazione nevrotica del un fantasma femminile di “essere una puttana”, ma dell’agito nella vita reale, senza domanda e senza desiderio, di qualcosa che passa dal discorso sociale e che viene immediatamente assorbito dalle giovanissime generazioni: “se ti prostituisci sei desiderabile”.
Occorre interrogarsi sul potenziale pedofilo che è in ognuno di noi, anche sotto forma di connivenza alla pedofilia da parte femminile e maschile, per poter arrivare al cuore del problema, perché finché il mostro resta estraneo e da rinchiudere altrove, rischiamo di non riconoscerlo e di ripeterlo nella nostra quotidianità e nella nostra cultura.
*Un particolare ringraziamento per aver condiviso con me e contribuito a queste riflessioni va a Benedetta Silj, autrice del libro “La pace non è un argomento”, ed. IPOC, Milano, 2015 e al suo articolo:http://www.benedettasilj.it/media/pubblicazioni/Cadere_fuori_2013.pdf.
- [1] Per approfondimenti: M. de Young, Day care ritual abuse moral panics, Mc Farland & C., Inc, Publishers, North Carolina, 2004, oppure P. Jenkins, Intimate Enemies, moral panic in contemporary Great Britain, W. de Gruyter, Inc. New York, 1992.