Riflessione sull’eutanasia. Dai testi antichi alle età moderna e contemporanea

La parola eutanasia è molto discussa, perché mentre il suo significato originale è di “buona morte”, attualmente, invece crea ambiguità e fraintendimenti perché si intende un “togliere” la vita!

Il termine “eutanasia” si trova già negli antichi testi greci e latini, col significato di “buona morte, specie nel testo dove lo storico Severino racconta la morte di cesare Augusto. Con il filosofo Bacone si è  introdotto questo termine nelle lingue moderne, nella sua Opera Advancement of Learning, Bacone riprende questo termine per criticare i medici che abbandonavano i pazienti nelle loro sofferenze.

Dal XIX secolo avvenne il cambiamento del significato, il termine si usò  per esprimere la qualità della morte considerata buona, rapida e facile e senza sofferenza. Verso la fine XIX secolo e inizio XX sec. registriamo diversi cambiamenti culturali, per cui comincia a diffondersi l’accettazione del cosiddetto “omicidio per pietà” e del “omicidio del consenziente”.

La trasformazione linguistica cambia: da “buona morte” ad “aiuto per una buona morte”, che è il senso attuale dell’eutanasia.

Per comprendere il concetto di eutanasia ci rifacciamo ai 5 punti che presentano Beauchamp e Davidson: 1- Volere la morte e causare la morte; 2- Situazione di sofferenza; 3- Che il motivo primario sia liberare un individuo dalla sofferenza; 4- Scelta dei mezzi meno dolorosi possibili; 5- Chi viene ucciso deve esser un organismo già nato.

L’eutanasia possiamo definirla: “Azione o omissione che, di natura sua, o nelle intenzioni, procura la morte, al fine di eliminare ogni dolore”.

Analizziamo la definizione: per “azione” intendiamo il procurare la morte come eutanasia cosiddetta attiva, mentre “omissione” è sempre il procurare la morte ma come azione cosiddetta passiva. L’omissione può avvenire per evitare un accanimento o per procurare la morte.

Dalla definizione si evince che il fine di “eliminare il dolore” si ottiene dal mezzo che è quello di “procurare la morte”.

Alcune restrizioni ingiustificate sono: la richiesta volontaria del paziente; l’imminenza della morte; la sofferenza fisica acuta e persistente; la sofferenza reale; l’intervento medico.

Una ulteriore classificazione di eutanasia, può essere fatta tra: “volontaria”, cioè a richiesta di chi viene ucciso; o “involontaria”, cioè senza richiesta di chi viene ucciso. Per “suicidio assistito” invece intendiamo l’ultimo atto compiuto dal paziente.

I motivi per cui si può chiedere l’eutanasia sono molteplici:

  • per motivi pietosi in assenza di richiesta
  • per motivi eugenetici su neonati
  • per motivi economico-sociali
  • per motivi altruistici (ad es. donazione da paziente con diagnosi infausta)
  • per motivi “di principio”: (vita biologica/anagrafica, libertà, dignità, insignificanza del dolore).

Principali argomenti a favore dell’eutanasia, risultano essere: diritto a morire, diritto a morire con dignità; diritto a fare ciò che si vuole del proprio corpo; insignificanza e inutilità del soffrire; costi sociali per il mantenimento in vita; sofferenza dei familiari.

Di contro i principali argomenti contrari all’eutanasia, sono, che non esistono vite senza qualità; la dignità della vita non è determinabile dai singoli; trasformazione dell’arte medica come aiuto e sostegno al paziente sino alla sua morte naturale; il precedente nazista, assolutamente da non dimenticare; lo sleepery sloop (piano esperienziale-descrittivo).

Ancora altri punti contrari all’eutanasia, sono le cure palliative e principio del duplice effetto; essere contrari all’accanimento terapeutico; la coessenzialità del dolore all’esperienza umana; la dignità del morire ha contenuti più ricchi e diversi del voler morire.

È opportuno precisare che non è la dignità a costituire il fondamento della vita umana, ma è la vita umana a fondare la dignità.

Si deve riconoscere sempre, l’indisponibilità del diritto alla vita, e che non esiste una “vita” senza valore!

Inoltre dal punto di vista giuridico riconoscere che non è possibile normare sull’eutanasia con una sufficiente precisione, considerando anche l’impossibilità di avere garanzie sull’affidabilità del consenso.

L’eutanasia è un atto di rilevanza sociale. Il suo divieto protegge tutti i malati, l’integrità della professione medica e anche le persone vulnerabili, specie in momenti di “fine vita”.

Nietzsche: “Il malato è un parassita della società. In certe condizioni non e’ decoroso vivere piu’ a lungo. Continuare a vegetare in una imbelle dipendenza dai medici e dalle pratiche mediche, dopo che e’ andato perduto il senso della vita, il diritto alla vita”.

Pertanto si deve riconosce il valore naturale della vita umana come bene indisponibile, negando a strumenti subdoli come i testamenti biologici, o leggi a favore dell’eutanasia di aprire la via a nuovi “diritti civili”.

Attentare contro vita di uomo è opposizione all’amore di Dio, è contro ogni diritto fondamentale.

Nell’Evangelium Vitae, n. 65, Giovanni Paolo II per condannare l’eutanasia, scrive:  “in conformità con il Magistero dei miei Predecessori e in comunione con i Vescovi della Chiesa cattolica, confermo che l’eutanasia è una grave violazione della Legge di Dio, in quanto uccisione deliberata moralmente inaccettabile di una persona umana. Tale dottrina è fondata sulla legge naturale e sulla Parola di Dio scritta, è trasmessa dalla Tradizione della Chiesa ed insegnata dal Magistero ordinario e universale”.

La dignità della nostra persone è qualcosa che viene dalla relazione con gli altri, dal fatto che ognuno di noi riconosca o meno che l’altro ha valore, e da come, di conseguenza, tratta l’altro. La dignità agli altri la diamo noi. E d’altra parte possiamo essere perfettamente autosufficienti e sentirci comunque umiliati nella nostra dignità quando siamo “trattati male”, cioè quando chi si rivolge a noi lo fa, facendoci capire che per lui non abbiamo valore, non valiamo niente.

Il relativismo etico  nelle problematiche di fine-vita si fonda sull’asserzione seppur falsa alla luce della retta ragione, che la vita sia un bene disponibile, e che pertanto la morte possa costituire un diritto. In realtà, che la morte non possa costituire un diritto in una società civile è un fatto assodato. Un diritto è “un bene che mi spetta”.

Un tale bene, poi potrà spettarmi in quanto da me autonomamente posto e conquistato, o in quanto caratterizza in profondità il mio essere, e dunque “non posso farne a meno” né può essermi negato da alcuno. Fanno parte di questa categoria diritti come quello alla vita, quale base e fondamento di tutti i diritti umani fondamentali.

Sul principio di indisponibilità della vita umana, pertanto, si fonda la convivenza civile fra gli uomini, la struttura della società che si ritenga “civile”. Negare tale principio, per converso, equivale ad affermare infatti che la vita sia un bene “disponibile”, cioè qualcosa di cui il soggetto potrebbe disporre, e dunque che possa esistere anche un corrispondente “diritto di morire”, inteso come il diritto di rifiutare la vita, ovvero di darsi la morte!

Antonio Citro, bioeticista

1 Commento

  1. real madird 23 febbraio 2017 Rispondi

    Thanks for the post. awesome!

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